EMERGENZE: IL ‘LATO OSCURO’ DEL VOLO (di Giorgio Sabbioni, con contributo finale di Angelo Garavaglia – aprile 2006)
Iniziamo in questo numero uno speciale dedicato a quella particolare situazione del volo libero che è il lancio e la discesa con il paracadute d’emergenza. Un aspetto del volo libero che molti dei piloti conoscono fortunatamente solo “per sentito dire” ma che sarebbe opportuno conoscere più a fondo.
PANIC STOP
Come ‘panic stop’ viene definita, quella reazione a situazioni d’emergenza che porta gli automobilisti a frenare in modo sconsiderato, senza utilizzare altre manovre più efficaci ad evitare l’eventuale impatto.
Si tratta di un fenomeno comportamentale tipico, che in epoca pre-ABS è stato concausa d’incidente per moltissimi malcapitati.
L’autista, davanti ad una potenziale o reale situazione di pericolo schiaccia il freno fino al blocco dei pneumatici e conseguente pattinamento e perdita di controllo del mezzo, quando, molto spesso, invece, la manovra più efficace sarebbe il rilasciare il freno e correggere la traiettoria, oppure scalare le marce o utilizzare il solo freno a mano ecc…
Per adottare comportamenti più idonei alla situazione occorrono però prontezza di riflessi, capacità di raziocinio anche in situazioni di stress (sangue freddo), abitudine all’azione specifica, conoscenza del mezzo… in una parola: preparazione.
Il ‘panic stop’ esiste anche per il pilotaggio dei mezzi per il v.d.s. ed in particolare per il parapendio. Sebbene non esista alcuna ricerca ufficiale e documentata in materia, questo è un dato di fatto.
Molti piloti, anche ben preparati, che si siano trovati in situazioni di configurazioni di volo ingestibili, spesso hanno cercato in tutti i modi di riprendere il volo lineare con una serie di comandi correttivi alla vela, senza mai pensare di ricorrere al paracadute di soccorso. Per alcuni la situazione si è risolta fortunatamente con la ripresa del volo lineare o fortunosi atterraggi “in pianta”, per altri non è andata altrettanto bene.
COME MAI SUCCEDE QUESTO?
Per un osservatore esterno, com’è capitato a molti che abbiano assistito a questi eventi, è facile stabilire quando sia il momento di ricorrere al paracadute di soccorso. Assistendo ad una cascata di configurazioni, spesso abbiamo pensato ‘emergenza!’ Peccato che il pilota non fosse lì ad ascoltarci e se anche ci avesse sentito, resta sempre il dubbio se avrebbe seguito il consiglio.
Per quanto, stando seduti in poltrona a leggere queste righe, la cosa possa sembrare assurda, il ricorso al paracadute di soccorso è spesso una delle ultime azioni che passano per la mente ad un pilota, che si viene a trovare in una situazione d’emergenza a suo giudizio ancora recuperabile. Prima di tutto bisogna stabilire che cosa s’intenda per “recuperabile”. Si tratta di un criterio più soggettivo che oggettivo, probabilmente la discriminante di base potrebbe essere una vela, che, nonostante tutto, fosse ancora posizionata grossomodo sopra il pilota, senza che questo sia andato in twist o in rotazione centrifugata. Bisogna in primo luogo osservare che il pilota di parapendio, per la natura stessa del mezzo con il quale vola, è in un certo qual modo abituato ad affrontare situazioni nelle quali il suo mezzo non sta più volando e che fanno parte proprio del comportamento in volo di questo genere di ala. Per questa ragione, indotto dall’abitudine e dall’addestramento, un pilota medio adotterebbe il comportamento più idoneo (a suo giudizio), per rimettere il suo parapendio in volo livellato, cioè: una sequenza di comandi alla vela in accordo con i segnali che arrivano da lei, comandi che potrebbero essere quelli corretti ma anche quelli sbagliati. Questo comportamento, nel volo con il parapendio, è l’equivalente del ‘panic stop’. Se proprio vogliamo incolpare qualcuno o qualcosa, diciamo che questo comportamento è indotto o meglio ancora: è un imprinting, che ci viene dal pilotaggio stesso del nostro mezzo.
Facciamo degli esempi: diversi mezzi volanti, come alianti e aerei a motore, in una certa misura perfino elicotteri e forse anche i deltaplani, anche in situazioni anomale, permettono ancora al loro pilota una certa libertà di movimento fisico e sono ancora pressoché pilotabili con una sola mano ed i due piedi.
Questo significa che anche in situazioni giudicate irrecuperabili dal pilota, egli ha a disposizione almeno ancora un arto per effettuare altre operazioni, a suo giudizio idonee per uscire dall’emergenza, ad esempio utilizzare diversamente i comandi aerodinamici, utilizzarne altri, dare o togliere motore, eventualmente azionare il soccorso.
Il parapendio è invece l’unico mezzo pilotabile in modo efficace esclusivamente con entrambe le mani e non meno importante: lo spostamento del corpo, ed il gesto di abbandonare uno dei comandi, per un pilota addestrato, è innaturale anche in condizioni d’aria calma.
Come conseguenza di questo, ogni pilota che si trovasse in condizioni di turbolenza, si attaccherebbe ai comandi curando di bilanciare accuratamente le perdite di pressione e le pendolate della calotta con precisi movimenti dei freni e del corpo.
Per centinaia d’ore di volo, un pilota medio si è addestrato a controllare la propria vela con le due mani e con gli spostamenti del peso e più la situazione dovesse divenire critica, più il pilota “si attaccherebbe ai freni”.
Partendo dalla chiusura asimmetrica, che sappiamo essere la causa principale d’incidenti, è facile comprendere come un pilota che si trovasse ad affrontare una conseguente cascata di configurazioni, ben difficilmente si azzarderebbe ad abbandonare un comando per andare ad afferrare la manetta del paracadute di soccorso, perché abbandonare uno dei freni significherebbe lasciare ancora di più senza controllo una vela imbizzarrita, agendo in maniera assolutamente anomala rispetto a tutto quanto ha fatto durante l’evoluzione della sua carriera di pilota .
La storia del volo è piena d’incidenti causati da cascate di configurazioni mantenute fino all’impatto con il terreno, come anche il mondo del volo è pieno di piloti che, pur avendone tutto il tempo e la quota, non hanno lanciato l’emergenza, andando infine ad impattare il suolo, con un comportamento analogo a quello di un autista che fa affidamento esclusivamente al pedale del freno per evitare un incidente, il ‘panic stop’ appunto.
E’ difficile comprendere che cosa passi per la mente di un pilota in questi momenti, anni fa, un pilota, a seguito di una cascata di configurazioni innescatasi a circa 250 metri da terra, arrivò al suolo con una vela biposto senza lanciare l’emergenza. Lui dichiarò di essere sempre stato perfettamente lucido e che in quei momenti i suoi ragionamenti furono:
La classe d’omologazione di questa vela mi garantisce che dovrà riprendere il volo lineare in modo autonomo.
Dopo il secondo stallo e nuovo innesco di un negativo, colto di sorpresa, analizzò l’opportunità di lanciare con uno schema di ragionamento simile a questo:
– Sono basso,
– Devo rilasciare un comando per lanciare l’emergenza
– Ho letto che le emergenze in biposto sono pericolose.
Dopo di ciò, mise in pratica altre manovre e riuscì ad atterrare in pendolata. Il pilota si ruppe sei costole, l’altro pilota che faceva da passeggero si fratturò una vertebra e possiamo dire con certezza che andò ancora bene.
In queste pagine troverete una serie di testimonianze di piloti che sono passati per l’esperienza dell’emergenza dove spiegano cosa è passato loro per la mente in quegli istanti.
Nota: in alcuni casi i piloti hanno chiesto di usare uno pseudonimo.
Spiegami il tuo incidente.
Gianbattista: “Ero in termica portante a bassa quota sopra un ampio crinale erboso, in quel momento salivo vento in coda fronte al pendio, all’improvviso la vela subì una fortissima asimmetrica, appena contrastai, percepii che il freno della semiala aperta stava collassando a causa di uno stallo asimmetrico (quella vela era fuori assetto e non lo sapevo), rilasciai immediatamente e la vela effettuò una violenta ripresa in avanti (con le bocche fronte al pendio), in quel momento mi dissi: ‘Ci sono…’, invece, riuscii a controllare la pendolata e ripresi il volo lineare, eseguii un veloce 180° verso valle e me la diedi a gambe verso l’atterraggio.
Hai mai pensato di lanciare l’emergenza?
Non ho assolutamente considerato l’idea di lanciare, perché è successo tutto molto repentinamente e l’unica cosa che mi sembrava opportuna era quella di controllare la vela, poi, ero molto basso e non so se ne avrei avuto il tempo, comunque, non ci ho pensato nemmeno nei minuti successivi, per me l’emergenza non esisteva, c’eravamo solo io, i freni e la vela, mi sono reso conto del pendio solamente quando me lo sono visto innanzi.
Penso, però, che situazioni del genere, a bassa quota, colgano assolutamente impreparati, annullando il tempo per razionalizzare e per decidere se lanciare. Probabilmente, solamente un campione che volasse una vela molto spinta, in questo caso ricorrerebbe immediatamente al paracadute di soccorso. A me è andata bene e non so se mi sarei salvato ugualmente lanciando, considerata la quota, la situazione e tutto il tempo necessario per: rilasciare un comando, andare a cercare la maniglia, estrarre, lanciare e sperare…
Come è cambiato il tuo modo di volare da allora?
Passato il trauma, da allora sto molto attento alle termiche portanti risalite ‘fronte al pendio’, anche se meno efficace, è molto più sicuro salirle a granchio, piuttosto che con vento in coda; poi ho montato un Aircone.
Spiegami il tuo incidente.
Mirko: Quel giorno, era il primo gennaio 2002, venivo da una settimana d’influenza, dai postumi del veglione di capodanno ed ero sotto l’effetto della tachipirina. In volo mi ero accorto di non essere tranquillo ma soprattutto di non essere lucido. Non sentendomi a mio agio decisi di uscire sull’atterraggio e di provare a fare un paio di stalli, così… tanto per ‘svegliarmi’. Era una manovra abituale per me, che reputavo semplice. Così, dando per scontata una cosa tecnicamente semplice, (ma se fatta con la testa sbagliata ogni cosa diventa complicata), mi cacciai nei guai. Subito dopo lo stallo, nella fase di rilascio, la vela partì in rotazione, mi era già successo ma in quel momento non ero nelle condizioni per reagire in modo appropriato e mi trovai con cinque giri di twist ed i freni bloccati in una posizione al limite dello stallo paracadutale, in un prestallo simile a quella della manovra ‘elicottero’, per cui, ogni movimento che facevo provocava ondeggiamenti, pendolate e giri ulteriori. La prima cosa che feci fu di guardare in basso per constatare che avevo ancora un bel 700 metri. A quel punto stabilii di lavorare per togliermi i giri di twist. Mi trovavo sopra la terraferma ma con un forte vento da ovest che mi scarrocciava verso il lago. Fino a quel momento non avevo assolutamente considerato di lanciare l’emergenza, ero convito di potermi raddrizzare, ero abituato e lo avevo già fatto più volte, ma la grossa differenza era che non ero lucido e continuavo a fare errori. Nel frattempo, mentre cercavo di sbrogliare i twist, la vela perdeva quota scarrocciando verso il lago. Quando mi trovai a 3-400 metri da terra e pericolosamente vicino all’acqua, considerai l’opportunità di lanciare, ma a quel punto mi resi conto che se lo avessi fatto, con lo scarroccio sarei finito in acqua. Il primo di gennaio e con il lago ghiacciato sarebbe stata una cosa potenzialmente mortale; decisi allora che avrei fatto di tutto fino all’ultimo per recuperare la vela. Riuscii a sbrogliare l’ultimo twist quando ero a circa 70 metri da terra, avevo ancora mezzo giro, ma decisi di tenere quella posizione e di impostare un ‘atterraggio alla francese’, ma sentivo che la vela non era a posto e temendo una pericolosa pendolata decisi di sparare l’aircone a circa 50 metri. “Averlo, non usarlo e sbattere, sarebbe troppo stupido”, pensai. I soldi della revisione che feci dopo furono ben spesi, anche se riuscii ad atterrare perfettamente in twist e con il fascio dell’emergenza dispiegato.
Che cosa hai imparato da quell’esperienza?
Ci misi un bel tre mesi a riprendermi, e per farlo completamente dovetti fare un altro stallo che eseguii perfettamente; ma la grossa differenza è che quel giorno ero perfettamente lucido ed in forma. Quello che ho compreso è che uno dei più grossi errori che puoi fare nel mondo del volo è di andare per aria quando non sei pronto fisicamente o psicologicamente, ho visto molto spesso vele che facevano di tutto per riprendere a volare e piloti che con i comandi facevano di tutto per non lasciarle volare, per volare devi essere sempre al 100%, anche per eseguire manovre sulle quali sei allenato e che a tuo parere sono facili, devi sempre essere al 100%. Forse il problema sta nel saper capire quando non sei in forma, ma devo dire che un campanellino d’allarme che ti suona dentro c’è sempre, quella volta non l’ho ascoltato, molte volte dopo l’ho fatto.
IN CONCLUSIONE : IL PARERE DELL’ESPERTO … E PICCOLO CONSIGLIO
Tutti sappiamo che la sicurezza nelle pratiche umane evolute è in funzione delle cosiddette PROCEDURE : automatismi tecnici che prevengono o correggono eventuali “errori umani”.
La procedura by-passa l’intervento (nel nostro caso) del pilota.
In assenza di procedure automatiche il pilota con la sua DECISIONE diventa PARTE DELLA PROCEDURA.
Nella sequenza decisionale del pilota ISTRUITO (quello che SA COSA BISOGNA FARE E QUANDO FARLA E MAGARI IN UN SIV HA GIA’ PROVATO AD APRIRE L’EMERGENZA) (come ben capite quello del PILOTA NON ISTRUITO E’ UN ALTRO FILM), c’è un “inquilino” indesiderato che si chiama ANSIA che ha un impatto decisivo, univoco sulla sequenza della procedura nel senso che LA RALLENTA. (Nel caso di Mirko il rallentamento è invece da attribuire a cause ESOGENE: convalescenza e farmaci)
Il “panic stop” fa parte del film “pre-procedurale” o “a-procedurale” del pilota NON ISTRUITO : è una reazione “istintiva”, “animale” che si attiva quando
1. uno le procedure non le ha,
2. oppure quando, pur avendole, sono “saltate”.
Nel pilota ISTRUITO le procedure saltano solo se è avvenuto un rallentamento ENDOGENO INDOTTO DALL’ANSIA, ovvero ESOGENO (farmaci, patologie, critiche condizioni psicofisiche)
Capite bene che 2 sono le possibilità per ovviare al “salto” delle procedure :
1. RENDERLE AUTOMATICHE : pensate ad un dispositivo che “legge” i ¾ dei cassoni chiusi per più di 6 secondi che azioni direttamente l’aircone
2. IN ATTESA DELL’INVENZIONE DI QUESTA DIAVOLERIA (che forse non vedrà mai la luce) L’UNICA POSSIBILITA’ DI INTERVENTO E’ STUDIARE IL LIVELLO D’ANSIA DEL PILOTA.
Personalmente sto mettendo a punto il primo studio al mondo di psicologia del volo.
La misurazione del livello d’ansia caratteristico del singolo pilota è eseguito attraverso una batteria di test.
Lo studio è ancora in fase iniziale.
Per validare i test e per passare alle successive fasi dello studio ho bisogno di almeno 500 CAVIE,
Al momento ne ho trovate solo 120…
Se vuoi partecipare a questa opera meritoria, puoi accedere al mio sito : www.azzurroticino.it e seguire le istruzioni.
Nella pagina dei risultati puoi capire come varia l’ansia al variare della “classe di competenza tecnica”
– I “TOP PILOT” HANNO UN LIVELLO MEDIO DI ANSIA PARI A “2”
– GLI “ADDIO ALLE ARMI” HANNO UN LIVELLO MEDIO DI ANSIA PARI A “8,6”
Siccome il “rallentamento” da ansia si innesca a livello “5” e l’ “immobilità” si innesca al livello “10” il pilota “conoscendosi” può essere preavvertito e l’ “organizzazione” conoscendo i piloti può organizzare un qualcosa di preventivo … O NO?
PARAPENDIO ED ELICOTTERO : CONVIVENZA IMPOSSIBILE
L’ultimo spavento forte per il pericolo di turbolenza di scia l’avevo provata all’alpe Quaggione, dodici anni fa per il passaggio radente di due jet militari in esercitazione. Poi c’era stato il disastro del Cermis, e come succede spesso in Italia si è passati da un eccesso all’altro : i nostri piloti militari per esercitarsi sono andati per tutti questi anni all’estero e noi contribuenti abbiamo pagato l’affitto e le trasferte. Di jet in esercitazione ne ho rivisto recentemente uno davanti al Cornizzolo nel mese di marzo di quest’anno e mi sono detto : fine della pace famigliare…
Ma come sempre le brutte notizie non arrivano sole : di lì a qualche settimana abbiamo visto i cieli (ma quel che preoccupa di più) i prati di atterraggio di Suello, popolati sempre più insistentemente da elicotteri in volo turistico, incuranti della presenza di tanti cultori del parapendio che godono della generosità del sito di volo più frequentato della vecchia Europa …
Fino a quel momento supponevo l’esistenza di una cavalleresca solidarietà nel popolo dell’aria.
Ma era un sogno…
Sempre più frequentemente dal mese di aprile in qua, il prato davanti al ristorante CIELO E TERRA a Suello è meta di uno o più elicotteri. I piloti, “parcheggiato” il mezzo, spesso a rotore acceso, entrano, se la devono, se la chiacchierano, fanno la loro passerella …
Nulla di male se non fosse appunto che le pale ruotano e generano turbolenza proprio dove centinaia di parapendisti nel frattempo impostano il loro atterraggio.
Se l’incontro con il rotore in alto è rischioso ma quasi mai fatale : l’incontro con la turbolenza e relativa chiusura a pochi metri dal suolo è quasi sempre fatale.
Agli elicotteristi è stato significato in maniera garbata che creavano turbolenze a persone appese ad uno straccio… Ma è stato come parlare al vento…
Accorata delusione : basterebbe poco da parte di ciascuno per vivere in un mondo più vivibile!
Ma, come si dice, la mamma degli imbecilli è sempre incinta…
Quando non si usa il buon senso l’unica possibilità è di segnalare il rischio ai carabinieri e all’enac, aspettare e sperare che nel frattempo che la lenta macchina della prevenzione si metta in moto, non ci scappi il morto.
Fra l’altro, se il guaio succede, capite benissimo che non è affatto facile avere giustizia : come si può connettere in maniera certa e inoppugnabile la eventuale chiusura di una vela in atterraggio con il vortice creato dalle pale del rotore dell’elicottero parcheggiato con il motore acceso ?
Depositare una segnalazione può favorire almeno l’apertura di una inchiesta qualora dovesse succedere la disgrazia.
Tuttavia, anche a recarsi dai carabinieri a depositare la segnalazione non comporta immediatamente la esatta comprensione da parte di persone estranee a problematiche di fluidodinamica, il riconoscimento immediato del potenziale pericolo.
E’ intuitivo che le pale di un elicottero producono vortici.
E’ intuitivo che i vortici costituiscano un pericolo per degli apparecchi di volo come i parapendio.
Ma come suffragare con dati scientifici, aldilà della pura intuizione, l’entità del pericolo?
L’ente pubblico italiano specializzato nello studio della dinamica dei fluidi a cui ho posto la questione attraverso mail è IL DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA DELL’INNOVAZIONE della UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI LECCE che sviluppa attività di ricerca indirizzata verso lo sviluppo di modelli numerici e la simulazione numerica di problemi fluidodinamica, l’analisi teorica e sperimentale di flussi turbolenti.
http://www.crea.unile.it/laboratori/laboratorio_02.html
Lo stato attuale della ricerca e i supporti al ragionamento deduttivo li possiamo trovare in internet :
1) I REGOLAMENTI DI VOLO E DI GARA :
Quando arriva l’elicottero di soccorso nello spazio aereo in cui stanno avvenendo voli in parapendio o una competizione di parapendio, i voli vengono sospesi e segnalata la necessità dell’atterraggio delle vele tramite l’apposizione di una X formata da strisce di stoffa in atterraggio.
http://www.termicamica.com/pn/html/article.php?sid=176
2) IL MANUALE DI VOLO
http://www.sulparapendio.it/tecniche_strategie/gestione_sicurezza/gestione_sicurezza.pdf
3) E PER QUANTO RIGUARDA LA NATURA E L’ORIGINE DELLE TURBOLENZE :
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http://www.forfly.it/print.php?sid=26
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I fenomeni pericolosi per il volo
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(…)
6) Turbolenza
Il moto di un fluido è detto stazionario se il campo delle sue velocità non varia nel tempo; nel caso contrario il moto è detto non stazionario o turbolento. In presenza di turbolenza si registra, quindi, una variazione della direzione e dell’intensità del vento che rendono vorticoso e pulsante il moto dell’aria che si sovrappone al movimento medio dell’aria stessa.
La turbolenza può essere originata da:
• Cause termiche;
• Cause dinamiche.
Se il suolo fosse liscio e l’atmosfera stabile il vento scorrerebbe in strati paralleli con moto laminare; si potrebbe avere solo qualche irregolarità del moto dovuta all’aumento di velocità con la quota man mano che ci si allontana dal suolo che, con il suo attrito, tende a frenare l’aria che vi scorre sopra.
Nella realtà la superficie terrestre presenta grosse variazioni di attrito dipendenti dalla zona attraversata; si pensi alla massa d’aria proveniente dal mare che entrata sul continente incontra alberi, case, rilievi isolati, catene montuose ecc. Nelle zone di transizione si ha la formazione di vortici con relativo moto turbolento di origine dinamica.
Di particolare interesse è il caso di aria stabile che scorrendo orizzontalmente incontra un rilievo isolato oppure una catena montuosa. Nel primo caso l’aria fluirà intorno al rilievo aggirandolo e dando luogo, nella zona sottovento, a vortici con asse verticale. Nel secondo caso l’aria è costretta a scavalcare la catena montuosa. Nella zona sottovento si avrà turbolenza in prossimità dei vortici provocati del moto dell’aria la quale, per tornare alla quota di equilibrio, descrive una sinusoide che si va gradualmente smorzando man mano che ci si allontana dalla catena montuosa. Queste ondulazioni costituiscono le onde orografiche (MTW). La loro presenza è segnalata da nubi lenticolari posizionate in prossimità della cima del rilievo e da nubi dette a rotore, localizzate nella zona di massima turbolenza. La distanza fino alla quale sono presenti le onde orografiche è proporzionale all’altezza del rilievo ed alla velocità con la quale l’aria impatta contro la catena montuosa.
La turbolenza di origine termica si origina in presenza di aria instabile. Se vi è anche un adeguato contenuto di vapore si svilupperanno nubi cumuliformi, in particolare cumuli e cumulonembi, all’interno delle quali vi sarà turbolenza generalmente di forte intensità. In assenza di vapore, come nelle zone desertiche, la turbolenza può essere presente in aria chiara.
A secondo dell’intensità la turbolenza viene classificata in:
• Leggera (light);
• Moderata (Moderate);
• Forte (Severe).
A seconda della particolare situazione meteorologica a cui è legata è stata classificata in:
• Turbolenza da temporale (Storm Turbulence);
• Gradiente del vento (Wind shear);
• Turbolenza in aria chiara (Clear Air Turbulence) C.A.T.;
• Turbolenza di scia.
(…)
La turbolenza di scia è provocata dall’aeromobile sia per effetto degli scarichi dei getti che per effetto dei vortici che si generano in conseguenza del sostentamento dell’aeromobile stesso. L’aeromobile genera una coppia di vortici controrotanti che si originano alle estremità alari per gli aerei, mentre per il elicotteri hanno origine dal bordo dei rotori. Le dimensioni dei vortici sono circa uguali all’allungamento altre dell’aereo e se trattasi di elicottero sono circa uguali al diametro del rotore. L’intensità dei vortici aumenta con il peso dell’aeromobile e col diminuire della velocità di volo . La turbolenza di scia viene prodotta soprattutto nelle fasi di decollo e di atterraggio, cioè quando le ali dell’aereo ed i rotori dell’elicottero producono portanza, e termina in atterraggio quando l’aereo viene a contatto con la pista. In volo la scia vorticosa si sposta verso la superficie terrestre con un rateo di circa 400-500 ft/min e si stabilizza al di sotto dell’aereo da cui ha avuto origine ad una distanza di circa 900 ft.
Quando l’aeromobile si avvicina al suolo, ad una distanza di 200 ft, la propagazione verso il basso dei vortici è ostacolata dalla presenza del suolo stesso e quindi essi tendono a deviare lateralmente, allontanandosi l’uno dall’altro con una velocità di circa 5 Kts.
Se contemporaneamente sulla pista è presente un vento al traverso si avrà un incremento della velocità di spostamento laterale del vortice sottovento, ed una riduzione di quella relativa al vortice sopravento, di una quantità pari a quella della velocità del vento stesso. Un aereo che si trovi a volare nella scia di un altro aereo subisce un forte rollio indotto provocato dal vortice di scia. Tenendo presente che la scia dipende dall’apertura alare, allora diventa molto difficile, per un aereo di apertura alare inferiore a quella che ha generato il vortice, compensando il rollio indotto perché i suoi alettoni sono compresi nel campo dì influenza del flusso rotatorio associato al vortice.